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liberando idrogeno che esplode. Solo se è contenuto in un ambiente con pareti in acciaio ben chiuso
e con atmosfera di gas inerte (gas Argon di copertura) può circolare e funzionare da termovettore
senza problemi, purché i materiali, le valvole, le pompe ed i sensori, i filtri, i sistemi di
purificazione continua, inseriti nel circuito siano stati ben collaudati per questo uso. La Francia
aveva una grande esperienza di ricerca (CEA) e di maestria industriale (GAAA) su tutto il
necessario per la tecnologia del sodio liquido.

L’esperimento SOSTA
I chimici erano chiamati ad esplorare o approfondire i fenomeni di compatibilità dei materiali a
contatto del sodio fuso provocati dalla enorme differenza di temperatura del sodio fluente nei
circuiti in tutte le condizioni previste per il reattore, a partire da circa 110°C per i serbatoi fino a
700°C per le guaine del combustibile nucleare. I test si effettuavano con piccoli circuiti a sodio
liquido che simulavano le condizioni fluido-dinamiche, chimiche e termiche previste. Dopo qualche
settimana di ambientamento fummo in grado di operare su questi circuiti, tutti impegnati per il
programma CEA. C’era per noi disponibile un impianto (SOSTA) con varie sezioni di prova per
studi in sodio statico. Il direttore Champaix mi chiese di fare una proposta di ricerca per utilizzare il
SOSTA. Pensai di testare l’effetto di eventuali inquinanti dell’argon di copertura sugli acciai dei
serbatoi alle basse temperature di utilizzo (110-120°C). Tracce di ossigeno, azoto e CO2 infatti
possono facilmente entrare nel serbatoio sodio durante inevitabili esposizioni di breve apertura
all’aria. Il sodio fuso elimina l’ossigeno in tracce formando Na2O solido, più complessa è la
reazione con la CO2 che può generare carbonio in sodio attivo capace di provocare carburizzazione
della superficie dell’acciaio, anche l’azoto viene attivato e può facilmente nitrurare questa
superficie. Questi atomi interstiziali (carbonio e azoto) avrebbe potuto provocare infragilimento-
rottura dell’acciaio del serbatoi. Per evidenziare questa possibilità usammo lamine molto sottili di
acciaio esponendole al sodio in varie condizioni di gas di copertura, per poi analizzarne il contenuto
in azoto ed in carbonio al termine dei test. La proposta fu accettata, un gas cromatografo fu messo a
punto per analizzare l’argon nelle varie sezioni, fu assunta una ricercatrice esperta in misure di
azoto e carbonio in lamine d’acciaio con la strumentazione commerciale ad-hoc disponibile al
CEA-Cadarache. L’esperimento ci impegnò per tutto l’anno della nostra missione con risultati
interessanti. Il battente sodio-acciaio a 110 – 120°C che veniva ciclicamente fatto variare fu trovato
fortemente nitrurato in presenza di poco azoto (1%) nell’argon, mentre il fenomeno era minore nei
campioni lasciati sempre immersi e trascurabile in gas argon molto puro. Fui invitato a stillare un
rapporto in francese (aiutato dai colleghi di madre lingua) e fui obbligato a non pubblicare i dati che
dovevano restare esclusivamente di proprietà CEA.

L’”Ecole du Sodium”
Durante quel periodo frequentai un corso organizzato dal CEA per gli stagisti del centro di
Cadarache. Lo scopo era quello di rendere gli allievi confidenti con le tecniche di manipolazione del
sodio liquido in sicurezza ed anche mostrare loro le formidabili realizzazioni del CEA con visite
agli impianti e con colloqui aperti con le loro maestranze. Visitai il “Rapsodie” (FBR da 20 MW) e
l’operatore di servizio mi dimostrò come non fosse necessario il controllo della catena di fissione
mediante barre di assorbitori neutronici per i reattori veloci che sono “intrinsecamente sicuri” (non
possono divergere, cioè non possono “scoppiare”). L’accurata progettazione del reattore fa sì che
appena la fissione comincia a divergere la temperatura del core aumenta provocandone un
espansione volumetrica. Questa, sia pure piccola, basta ad inibire la divergenza ed il processo a
catena torna in equilibrio, da sola, senza intervento umano. Questo blocco avviene anche in caso di
rottura del circuito di raffreddamento a sodio liquido, e questa prova fu fatta su EBR-II ed FFTF in
USA nel periodo 1984-86. L’operatore del Rapsodie tuttavia controllava l’equilibrio intervenendo
delicatamente su un assorbitore neutronico mediante una cloche solo per diminuire l’ampiezza delle
oscillazioni termiche. Per mostrarmene l’autoregolazione spontanea eliminò l’assorbitore e mi fece
vedere cosa sarebbe accaduto, lui non toccò più la cloche. Il segnale del flusso neutronico cominciò
a salire un bel po’ ma poi tornò a diminuire. “E meglio però non stressare il piccolo”, ci disse,
l’operatore deve essere sempre impegnato a controllare l’erogazione della potenza in stato
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